La regola di Sant'Agostino (354-430) è stata la prima regola monastica in Occidente. Fu composta da diversi scritti del santo vescovo di Ippona, e soprattutto da una lettera, scritta in risposta alla richiesta di un gruppo di uomini pii, desiderosi di seguire al meglio la vita evangelica in comunità. Agostino organizzò la vita religiosa di questo gruppo, senza voler pertanto fondare un ordine monastico. Ma nel Medioevo questa regola sarà seguita dai canonici di sant'Agostino (distinguiamo i premostratensi di san Norberto, i canonici regolari di sant'Agostino, ecc.). Successivamente venne adottata dai Domenicani e dagli eremiti di Sant'Agostino. Oggi sono numerose le famiglie religiose affiliate alla Regola di Sant'Agostino e in particolare le suore.
Ecco le principali indicazioni date dalla regola agostiniana, composta da otto capitoli.
Scopo e fondamento della vita comune
La prima regola è che in comunità viviate concordi e abbiate un’anima sola e un sol cuore protesi verso Dio, perché è questo lo scopo per cui vi siete adunati. (Sal 68, 7; At 4, 32.)
Non ritenete come vostra cosa alcuna, ma tutto vi sia comune. Il superiore distribuisca ad ognuno di voi vitto e vestiario, non a tutti ugualmente, perché non tutti godete di ugual buona salute, ma a ciascuno piuttosto secondo la sua necessità; così infatti si legge negli Atti degli Apostoli: Tutto era fra loro comune e si distribuiva a ciascuno secondo il bisogno. (1 Tim 6, 8; At 4, 32.35.)
Coloro che nel secolo possedevano qualche cosa, entrati nella casa religiosa, la mettano volentieri in comune.
Quelli invece che nulla possedevano, non cerchino nella casa religiosa ciò che nemmeno fuori riuscivano ad avere. Si conceda tuttavia alla loro debolezza ciò che sarà necessario, sebbene per la loro povertà, quando erano fuori, mancassero perfino delle cose indispensabili. Questi però non si ritengano fortunati per aver trovato qui quel vitto e quelle vesti che non potevano trovare fuori. Né si insuperbiscano vedendosi associati a coloro ai quali fuori non osavano avvicinarsi, ma abbiamo il cuore in altro e non cerchino le cose vane della terra, affinché le case religiose non comincino ad essere utili ai ricchi e dannose ai poveri, se in esse quelli si umiliano e questi si esaltano. (Col 3, 1.2.)
D’altra parte, quelli che nel mondo credevano di valere qualcosa, non abbiano a fastidio i loro fratelli che sono passati da una condizione povera a questa santa comunità; preferiscano anzi gloriarsi più della convivenza con i fratelli poveri che della onorabilità di genitori ricchi. Né si inorgogliscano per aver portato alla comunità qualche cosa dei loro beni, né si vantino delle loro ricchezze per il fatto che vengano distribuite in comunità, mentre potevano godersele nel mondo, perché se ogni altro vizio spinge a commettere azioni cattive, la superbia insidia anche le opere buone per rovinarle; che giova allora privarsi dei propri beni per darli ai poveri e diventare povero, se poi la misera anima, proprio per aver disprezzato le ricchezze, diventa più superba di quanto lo fosse mentre le possedeva. (Gal 2, 2; Sal 112, 9; Lc 18, 22; 1 Cor 13, 3)
Vivete perciò unanimi e concordi e onorate reciprocamente in voi Dio, di cui siete divenuti tempio. (Rm 15, 6.)
Preghiera
Siate assidui alle preghiere, nelle ore e nei tempi stabiliti.
(Col 4, 2; Rm 12, 12.)
Nell’oratorio, nessuno faccia altro se non ciò per cui è stato fatto e da cui ha preso il nome; cosicché se qualcuno, tempo permettendo, volesse pregare anche fuori delle ore determinate, non ne sia impedito da chi volesse ivi fare altra cosa.
Quando pregate Dio con salmi e con inni, meditate nel cuore ciò che proferite con la voce.
Non vogliate cantare se non ciò che è scritto che si canti; ciò che non è scritto che si canti,non si canti.
Frugalità e mortificazione
Domate il vostro corpo con digiuni e con astinenza da cibi e bevande, per quanto la salute ve lo permette; se poi qualcuno non può digiunare, non prenda cibo fuori dell’ora di pasto, a meno che non sia ammalato.
Quando state a mensa, fintanto che non vi alzate, ascoltate senza rumori e senza discussioni, ciò che secondo l’uso vi si legge, affinché non solo la bocca abbia il suo alimento, ma anche l’udito si nutra della parola di Dio. (Am 8, 11.)
Se i deboli, per un precedente tenore di vita, sono trattati con qualche distinzione nel vitto, ciò non deve dar fastidio né sembrare ingiusto a quegli altri i quali, per una diversa consuetudine di vita, sono più forti. Né questi ritengano più fortunati quelli, perché mangiano cibi che essi non mangiano, ma anzi si congratulino con se stessi perché hanno una salute che quelli non hanno.
E se per quelli che sono passati alla casa religiosa da un modo di vivere più delicato, si usa qualche particolarità riguardo ai cibi, alle vesti, ai letti e alle coperte, più di quanto si usa coi più vigorosi e appunto perciò più fortunati, questi debbono considerare quanto quelli si siano abbassati passando dalla loro vita del secolo a questa della casa religiosa, benché non siano ancora potuti arrivare alla frugalità degli altri che sono fisicamente più robusti. Né tutti devono pretendere di avere quel trattamento che si concede a pochi per tolleranza e non per onore, perché non si verifichi nella casa religiosa quel detestabile disordine che mentre i ricchi, per quanto possono, cercano di rendersi mortificati, i poveri invece diventino difficili a contentarsi.
Certamente gli ammalati come hanno minore esigenza di mangiare per non aggravarsi, così, durante la convalescenza, dovranno essere trattati in maniera da potersi presto ristabilire, benché venissero dalla più umile povertà del secolo; è evidente che la recente malattia ha dato ad essi ciò che ai ricchi dava il loro precedente tenore di vita. Però, ricuperate le primitive forze, tornino alla loro felice vita normale, la quale è tanto più consona ai servitori di Dio, quanto essi hanno meno bisogni. Una volta guariti, il piacere non li trattenga in quella condizione alla quale li aveva elevati l’esigenza della malattia. Siano considerati più ricchi quelli che saranno più forti nel sopportare un sobrio tenore di vita, poiché è meglio avere meno bisogni che più cose. (Seneca, Ep. ad Luc. 2, 6.)
Custodia della castità e correzione fraterna
Non sia appariscente il vostro abito, né cercate di piacere con le vesti ma con il comportamento.
Quando uscite di casa, andate insieme; quando sarete giunti al luogo dove siete diretti,rimanete uniti.
Nel camminare, nello stare fermi, in tutti i vostri movimenti, nulla fate che possa offendere lo sguardo altrui, ma tutto sia consono alla vostra consacrazione.
Se vi capita di veder qualche donna, non fissate mai gli occhi in alcuna. Non vi è certo proibito, quando andate fuori, di veder donne, ma è peccaminoso desiderarle o voler essere da loro desiderati. Non solo col tatto e con l’affetto è provocata e ci provoca la concupiscenza delle donne, ma anche con gli sguardi. Né dite di avere l’animo casto se avete gli occhi impuri, perché l’occhio impuro è rivelatore di un cuore impuro; e quando due cuori impuri, anche senza parlare, si comunicano con vicendevoli sguardi e secondo il desiderio carnale si compiacciono del reciproco ardore, scompare la vera castità dai costumi, anche se i corpi rimangono immuni da contatto peccaminoso. (Mt 5, 28.)
Né deve credere chi fissa gli occhi in una donna e si compiace di essere da lei fissato, di non essere notato da altri quando si comporta così; è notato sicuramente e perfino da chi egli crede di non essere veduto. Ma ammesso che resti nascosto, né sia veduto da alcuno, come si troverà davanti al supremo Osservatore a cui nulla si può nascondere? Forse si dovrà credere che non veda perché nel vedere usa tanto maggior pazienza quanto più è sapiente? Tema dunque l’uomo consacrato di dispiacere a Dio, e così non oserà piacere peccaminosamente a una donna; pensi che Dio vede tutto, per evitare il fissare impuramente gli occhi su una donna, poiché in questa materia è raccomandato il timore di Dio, là dove è scritto: E’ detestato dal Signore chi fissa lo sguardo. (Pro 24, 12.18; Pro 27, 20 vers. LXX.)
Quando dunque siete insieme in chiesa o dovunque vi siano anche donne, siate vicendevolmente custodi della vostra purezza. Dio infatti che abita in voi, vi proteggerà anche in questo modo, cioè per mezzo di voi stessi. (1 Cor 3, 16; 2 Cor 6, 16.)
Ma se avvertite in qualcuno dei vostri fratelli questa immodestia di occhi di cui vi parlo, ammonitelo subito, affinché il male iniziato non progredisca, ma sia quanto prima eliminato.
Se poi di nuovo, dopo l’ammonizione o in qualsiasi altro giorno lo vedrete ricadere nella stessa mancanza, allora chiunque lo avrà scoperto, lo deferisca come un ferito da guarire; prima però deve farlo notare a un secondo o a un terzo affinché, mediante la testimonianza di due o tre, possa essere convinto e indotto a correggersi con adeguata severità. Non giudicatevi colpevoli di malevolenza segnalando un caso del genere; piuttosto non sareste senza colpa se col tacere lasciaste perire i vostri fratelli mentre potreste correggerli col parlare. Se infatti il tuo fratello volesse nascondere, per paura della medicazione, una piaga che ha nel corpo, non saresti tu crudele nel tacerlo e pietoso nel palesarlo? quanto più dunque sei obbligato a manifestarlo, per evitare che marcisca più rovinosamente nel cuore? ( Mt 18, 15-17.)
Se, nonostante l’ammonizione, avrà trascurato di correggersi, prima di farlo notare ad altri dai quali dovrà essere convinto nel caso che negasse, bisogna avvertirne il superiore, affinché,con una correzione segreta, la cosa non diventi pubblica; ma se lo negherà, allora a lui che dissimula si dovranno presentare gli altri affinché, alla presenza di tutti, possa essere incolpato non da un solo testimonio, ma da due o tre possa essere convinto. Una volta provata la colpa, dovrà subire, a giudizio del superiore locale o del superiore maggiore al quale compete decidere in merito, la punizione che lo corregga; se ricuserà di farla e non se ne andrà via spontaneamente, sia espulso dalla vostra comunità. Neppure questo si fa per impulso di crudeltà, ma di compassione, affinché egli, col suo male contagioso, non sia di rovina a moltissimi altri. (1 Tim 5, 20.)
Quanto ho detto sull’immodestia degli occhi, sia osservato diligentemente e fedelmente anche nello scoprire, proibire, manifestare, provare e punire ogni altra colpa, usando amore verso le persone e odio per i vizi.
Chiunque poi fosse andato tanto oltre nel male da ricevere di nascosto da una donna lettere o qualsiasi altro piccolo regalo, se confesserà spontaneamente il fatto, gli si perdoni e si preghi per lui; ma se è scoperto e trovato colpevole, sia punito molto severamente, a giudizio del superiore maggiore o del superiore locale.
Uso e cura delle cose comuni
Tenete i vostri indumenti in un guardaroba comune, sotto la cura di un custode o di due o di quanti ne occorrono per spolverarli perché non siano rovinati dalle tarme; e come vi nutrite da una stessa dispensa, così vestitevi da un unico guardaroba. Possibilmente, non spetti a voi decidere quale indumento indossare, secondo le stagioni, se cioè riprendere quello stesso che avevate deposto o uno diverso già indossato da un altro, purché a ciascuno di voi non venga negato quello che gli è necessario. Ma se da ciò nascessero tra voi proteste e mormorazioni e qualcuno si lamentasse di aver ricevuto indumenti peggiori di quelli lasciati prima e che di lui non si abbia alcun riguardo perché viene vestito come era vestito qualche altro fratello, allora dovete costatare voi stessi quanto vi manchi di quel santo abito interiore del cuore, dal momento che litigate per l’abito del corpo. Tuttavia, se viene tollerata la vostra debolezza e vi si consente di riprendere gli stessi indumenti
che avevate deposti, tenete ugualmente in un unico guardaroba ciò che deponete, sotto la cura dei custodi comuni. (At 4, 35; 1 Cor 3, 3; 1, 11.)
Cosicché nessuno faccia lavori per proprio vantaggio, ma tutti i vostri lavori siano fatti per la comunità, e con tanto più impegno e sollecitudine che se li facesse ciascuno per se stesso. La carità infatti, di cui sta scritto che non cerca il proprio interesse, va intesa nel senso che preferisce le cose comuni alle proprie e non già le proprie alle comuni; perciò con quanto maggiore impegno vi preoccuperete delle cose comuni che delle vostre, tanto più vi renderete conto, del vostro progresso spirituale, di modo che in ogni cosa di cui si serve la necessità passeggera, rifulga la carità che dura sempre. (1 Cor 13, 5; 1 Cor 12, 31; 13, 13.)
Ne viene di conseguenza che i capi di vestiario o qualunque altro oggetto ritenuto necessario, che qualcuno porta ai propri figli o ad altri parenti che vivono in comunità, non si ricevano di nascosto, ma siano messi a disposizione del superiore affinché, posti tra le cose comuni, vengano poi dati a chi ne avrà bisogno. Se qualcuno avrà nascosto l’oggetto datogli sia giudicato colpevole di furto.
I vostri indumenti siano lavati o da voi stessi o dai lavandai, secondo le disposizioni del superiore, badando che un esagerato desiderio di vesti pulite non sia causa di macchie nell’anima.
Anche il bagno del corpo, quando qualche malattia lo richiede, non venga mai negato, ma si faccia senza discussioni, su consiglio del medico, cosicché il malato, anche contro la sua volontà, al comando del superiore faccia quanto deve farsi per la salute. Se invece il malato lo vuole, ma non ne appare evidente la necessità, non si accondiscenda al suo desiderio, perché talvolta si crede che giovi ciò che piace, mentre in realtà è nocivo.
Infine, se un servitore di Dio dice di sentirsi male, ma il suo male non è manifesto, gli si creda senz’altro; tuttavia, se ciò che a lui piace non è evidente che serva a guarirlo, si consulti il medico.
Non si vada ai bagni o dovunque sia necessario andare, in meno di due o tre. E chi avrà bisogno di recarsi in qualche luogo, vi dovrà andare con chi gli sarà assegnato dal superiore.
Si affidi a qualcuno la cura degli ammalati, sia dei convalescenti sia di coloro che soffrono qualche indisposizione, anche senza febbre, affinché egli si faccia poi dare dal dispensiere quanto conosce essere necessario per ciascun ammalato.
Coloro che hanno l’incarico sia della dispensa, sia delle vesti o dei libri, servano con serena disponibilità i propri fratelli.
Si chiedano i libri, giorno per giorno, all’ora stabilita e non si diano a chi li chiederà fuori orario.
I custodi delle vesti siano solleciti a dare vesti e calzature a chi le chiede, quando questi ne hanno bisogno.
Perdono fraterno
Mai vi siano tra voi litigi o siano troncati al più presto, affinché l’ira non degeneri in odio e trasformi una pagliuzza in trave, rendendo l’anima omicida; così infatti leggete: Chi odia il proprio fratello è omicida. (2 Tim 2, 24; Sir 28, 10; Mt 7, 3; 1 Gv 3, 15)
Chiunque avrà offeso un altro con ingiurie, maldicenze o anche rinfacciando una colpa, si ricordi di riparare al più presto quello che ha fatto, e l’offeso sia pronto a perdonare senza discussione. Se poi si fossero offesi a vicenda, anche a vicenda dovranno perdonarsi le offese, in grazia delle vostre orazioni che certamente quanto più sono frequenti, tanto più devono essere pure. Colui che sebbene sia tentato spesso dall’ira tuttavia chiede prontamente perdono a chi riconosce di aver offeso, è migliore di un altro che si adira più raramente, ma più difficilmente si piega a chiedere perdono. Chi poi non vuole mai chiedere perdono o non lo chiede di cuore sta senza motivo nella casa religiosa, benché non ne venga espulso. Evitate, quindi, le parole offensive; se vi fossero uscite di bocca, non vi rincresca di trarre il rimedio dalla stessa bocca, da dove ebbero origine le ferite. (Sir 29, 6; Mt 6, 12; 18, 35.)
Quando poi esigenza di disciplina spingesse voi superiori a usare parole dure per correggere difetti, anche se vi accorgete di aver ecceduto nel modo, non si esige da voi che chiediate perdono a chi vi è suddito, per evitare che col troppo umiliarvi davanti a chi deve starvi soggetto, si indebolisca l’autorità di chi comanda; si deve però chiedere perdono al Signore di tutti, il quale sa anche con quanto affetto amate quelli che forse riprendete più del giusto. Tra voi però l’affetto deve essere non carnale ma spirituale.
Autorità ed obbedienza
Si ubbidisca al superiore locale come a un padre, con il dovuto rispetto, sicché in lui non venga offeso Dio; molto più si ubbidisca al superiore maggiore che ha cura di tutti voi. (Eb 13, 17; Lc 10, 16.)
Sarà speciale compito del superiore locale di fare osservare tutte queste norme, e se qualcuna non è stata osservata, non vi si passi sopra per negligenza ma si procuri di emendarla e correggerla; sarà anche suo dovere di rimettere al superiore maggiore, che ha sopra di voi maggiore autorità, ciò che supera la sua competenza o le sue forze.
Chi vi presiede non si stimi felice per il potere di comandare, ma per il servire con carità. Davanti a voi sia tenuto in alto per l’onore; davanti a Dio si prostri ai vostri piedi per il timore. Dia se stesso a tutti come modello di buone opere. Riprenda i turbolenti, incoraggi i timidi, accolga i deboli ed usi pazienza con tutti. Mantenga con amore la disciplina e imponga il rispetto. E sebbene l’amore e il timore siano entrambe cose necessarie, egli però cerchi più di farsi amare che temere, pensando sempre di dover rendere conto a Dio di voi. (Lc 22, 26; Gal 5, 13; 1 Tim 2, 7; 1 Ts 5, 14; Eb 13, 17.)
Perciò, ubbidendo più perfettamente, avrete compassione non solo per voi, ma anche per lui, perché quanto egli è tra voi in una posizione più alta, tanto si trova esposto a maggiori pericoli.
Osservanza della regola
Il Signore vi conceda di osservare con amore tutte queste norme, come innamorati della bellezza spirituale e come fragranti del buon profumo di Cristo, per la vostra santa convivenza, non come schiavi sotto la legge, ma come persone libere nel regno della grazia. (2 Cor 2, 15; 1 Pt 2, 12; 3, 16; Rm 6, 14)
Affinché possiate mirarvi in questo libretto come in uno specchio e non trascurare qualche cosa per dimenticanza, venga letto una volta alla settimana. Se costaterete che state adempiendo quanto vi è scritto, ringraziatene Dio, datore di ogni bene; se invece chiunque di voi si accorgesse di essere manchevole in qualche punto, si penta dell’inadempienza e sia più attento per l’avvenire, pregando che gli sia rimesso il debito e che non ceda più alla tentazione. (Gc 1, 23-25; Eb 12, 5; Mt 6, 12.13.)